Sì, questo titolo può sembrare strano, ma è così.
Una parte di me è morta il 15 Gennaio 2011.
Il quindici gennaio io me lo ricordo bene.
Quella mattina mi ero svegliata presto nonostante fosse sabato, avevo un esame a breve e volevo finire un paio di argomenti perché come al solito ero nella merda.
Era una bella mattina,c’era il sole e neanche una nuvola: una giornata calda nonostante fosse gennaio.
Gli altri erano sulla terrazza a curare le piante e a discutere di chissà cosa, mentre io stavo china su dispense e libri.
Ad un certo punto suonano il citofono.
Di sabato mattina, chi può essere?
Forse zio è passato a salutarci, prima lo faceva ogni settimana ma ora che ha la sua nuova famiglia lo fa sempre più raramente.
La cosa strana è che non ricordo se sono stata io a rispondere al citofono, non so come sia possibile dato che di quel giorno ricordo ogni minima cosa ma questo no. Non lo ricordo. Forse sono stata io, o forse mia sorella.
L’unica cosa che ricordo è lo sguardo di mio padre e la sua voce roca che ci dice “è un vigile urbano, non so cosa voglia. Cosa avete combinato?”
Mentre il vigile saliva in casa mio padre ci ha “obbligato” a spostarci in camera e andare via. Non lo so perché, non gliel’ho mai chiesto. Forse aveva capito che qualcosa di brutto era successo.
Forse se lo sentiva. Io davvero non lo so.
L’unica cosa che so è che ho sentito mio padre urlare e piangere. Ho guardato mia sorella e siamo corse al salotto.
Mia madre in quel momento non era in casa, era scesa cinque minuti prima per andare in farmacia sotto casa.
Mio padre che continuava a piangere e a urlare cose senza senso, io guardavo il vigile cercando risposte.
Era tutto così surreale.
Mi sono messa a piangere perché non riuscivo a capire e avevo una paura fottuta di chiedere cosa stesse succedendo.
Poi mia sorella si è fatta coraggio e ha domandato cosa stesse succedendo, mio padre ci ha guardato e si è seduto per terra.
Mio padre?per terra? A piangere? Era successo qualcosa di terribile.
Mia sorella cominciò a gridare, volevamo sapere.
Poi il vigile lo disse
“Vostro fratello M. è morto questa mattina a Milano.Ha fatto un incidente con la moto, mi spiace”
Silenzio. Urla.
Com’è possibile?No guardi si sta sbagliando. E’ sabato mattina e mio fratello il week end non lavora, lui non va in studio di sabato mattina!
Che senso ha? Che ne sai lei?
Come conosce mio fratello? Come sa che è lui?
Si sta sbagliando.
Avevo tremila cose in testa ma non riuscivo a dire nulla. Ero impietrita.
E in quel momento è entrata mia madre in casa sorridendo, dicendo il suo solito “Sono a casa, ho fatto presto!” e poi è entrata in salotto e ci ha visti così.
Io non ho più capito nulla.
Non so cosa sia successo. Non so chi ha detto cosa, ma ricordo le urla e le lacrime.
E il vigile disperato. Ma da quando un vigile urbano può dare notizia del genere?
E lì ho cominciato a sperare, sì ho cominciato a sperare, che qualcuno avesse rubato il portafoglio a mio fratello. Che in realtà il ragazzo morto per un incidente non era lui, ma qualcun altro.
Non poteva essere lui.
E allora scappai in camera e presi il telefono, cominciai a chiamarlo.
Squillava.
E lì fu felice, il suo telefono era accesso quindi stava bene.
Che sciocca.
Che cazzata se ora ci penso.
Squillava.
Squillava.
Ma lui non rispondeva.
Squillava a vuoto e intanto sentivo i miei genitori disperarsi.
Sono uscita sulla terrazza e ho pregato, per la prima volta ho alzato gli occhi e ho pregato. Mi sono rivolta verso il vostro Dio, dicendogli di salvare mio fratello, di fare qualsiasi cosa potesse fare.
Di farlo vivere. Lo pregai piangendo, mentre il sole batteva forte e mi girava la testa.
E le lacrime non mi facevano vedere bene.
Poi pensai: è vero. Non ci sta più.
Al telefono non mi ha risposto. I documenti sono i suoi.
E’ lui.
Mia sorella torna da scuola e ci trova così. Mi guarda e l’unica cosa che posso fare è piangere. Lei non fa nulla, lei non reagisce.
Butta un pugno al muro e va via.
Poi fu una corsa. Una corsa tra lacrime e urla.
Una corsa all’aeroporto per raggiungere Milano, dove i miei fratelli abitavano.
Una corsa per andare da mio fratello A. e non lasciarlo solo.
Non aveva nessun altro. Un paio di amici ma erano solo loro due.
Due fratelli a Milano.
Si sono susseguiti giorni terribili.
Non avevamo fame, non avevamo sonno.
Arrivava l’alba e poi di nuovo il tramonto.
E la notte.
La notte era terribile.
L’unica cosa che pensavo è che non mi spiegavo perché le persone intorno parlavano. Alcuni sorridevano ricordando un ricordo con mio fratello.
Ed io non mi spiegavo perché il sole si ostinasse a sorgere ogni mattina.
Per me ora non aveva senso più nulla.
Il giorno,la notte,l’alba, il calore degli abbracci, le lacrime calde che scorrono sui visi, gli occhi tristi che ti guardano, i messaggi, le chiamate, e poi di nuovo la notte e il giorno.
Cosa puoi dire quando muore un ragazzo di trent’anni?
Quando finalmente aveva realizzato il suo sogno di diventare a far parte di uno dei grandi studi commercialisti di Milano,
esattamente cosa si può dire?
Che il sabato mattina lui non andava mai, ma quella fottutissima mattina aveva deciso di presentarsi allo studio per sbrigarsi delle cose?
Che quella mattina non è uscito da casa, che ha trascorso la notte dalla sua ragazza e ha deciso di fare una strada che non faceva mai?
Che il suo studio era al numero civico 54 e lui è morto al numero civico 52?
Che era quasi arrivato, eh?
Cosa cazzo si può dire quando una merda di macchina parcheggiata dalla corsia opposta esce dal parcheggio e decide di fare un’inversione ad U senza guardare chi cazzo sta arrivando?
Mio fratello è morto.
Il resto che importa?
Al destino poi, che importa?
Mio fratello è morto ed una parte di me è morta con lui, il quindici gennaio.